Il Caso Restivo. Ma รจ davvero lui il (solo) colpevole?
Il 24 aprile 2013 alle 19.26, dopo circa cinque ore di Camera di consiglio, la Corte
d'assise d'appello di Salerno ha condannato con il rito abbreviato a 30 anni di carcere
Danilo Restivo, 41 anni, per l'omicidio di Elisa Claps. Il corpo di Elisa - coperto con sole
tre tegole - è stato ufficialmente ritrovato nel sottotetto della chiesa della Ss. Trinità a
Potenza il 17 marzo del 2010, a distanza di 17 anni dalla sua scomparsa avvenuta nel
capoluogo della Basilicata il 12 settembre 1993. Elisa aveva 16 anni. Il processo d'appello
ha confermato la condanna di primo grado. Restivo si è sempre dichiarato innocente,
nonostante il grave quadro indiziario emerso a suo carico fin dal giorno della scomparsa
della ragazza. Danilo Restivo ha partecipato su sua richiesta al processo d'appello - in
quello di primo grado era assente - ed è stato temporaneamente "concesso" alla giustizia
italiana, per il tempo necessario del giudizio, dalla Gran Bretagna. E' arrivato,
accompagnato da agenti italiani dell'Interpol, all'aeroporto di Fiumicino il pomeriggio dell'
11 marzo 2013. Subito dopo la sentenza dei giudici di Salerno, è stato riportato in
Inghilterra. Nel Regno Unito sta scontando in un carcere di massima sicurezza la pena,
con sentenza definitiva, dell'ergastolo con un minimo di 40 anni da passare in cella per
l'omicidio della vicina di casa, la sarta Heather Barnett, uccisa e mutilata il 12 novembre
2002 (in appello è stata accolta solo la richiesta di revisione della condanna comminata in
primo grado, ovvero il carcere a vita senza la possibilità di essere mai rilasciato). Rispetto
all'omicidio di Elisa Claps, sono molti i punti che meritano una riflessione. Altri non chiariti.
Altri omessi.
Questo è l'articolo che mentre seguivo il caso per il Tg5 undici anni fa scrissi il giorno prima della sentenza di
secondo grado.
Perché difendo il "mostro" Danilo Restivo
- Pubblicato su Libero il 23/04/2013
Difendo il "mostro" Danilo Restivo. Proprio io che ho passato tre anni a cercare
- sul piano giornalistico - di ricostruire le sue gesta criminali, che ho scritto un
libro sulle sue responsabilità. Tuttora sono convinto che sia colpevole. Ma ciò
che penso io non conta. Il fatto è che un processo e un'indagine orientata a senso
unico nella ricerca degli elementi a carico del "mostro" hanno fatto sì che anche
le prove certe, in un quadro indiziario pesantissimo, appaiano ora tutt'altro che
certe. Alla corte d'assise d'appello di Salerno è ormai alle ultime battute il
processo per l'omicidio di Elisa Claps, riemersa il 17 marzo 2010 nel sottotetto
della chiesa della Trinità di Potenza dal buio dei 17 anni della sua scomparsa.
Rito abbreviato, cioè a porte chiuse senza pubblico e senza giornalisti, per la
scelta fatta dal precedente difensore. In primo grado è stato condannato a 30
anni. In Inghilterra - che ce lo ha momentaneamente prestato - è stato
condannato in via definitiva all'ergastolo, con un minimo di 40 anni da passare
dietro le sbarre, per aver ucciso, seviziato e amputato la vicina di casa Heather
Barnett, lasciando che fossero i figli a scoprirne il cadavere. Forse è responsabile
almeno di un altro delitto.
Non ho dubbi che sia stato lui a uccidere Elisa.
Perché quella domenica di 20 anni fa, il 12 settembre '93, Elisa è sparita dopo averlo
incontrato nella chiesa della Trinità alle 11,40. Perché l'alibi fornito da Restivo è
falso. Perché è tornato a casa con i vestiti sporchi di sangue - per sua stessa
ammissione - e con una minuscola ferita alla mano sinistra ma che a tutti i costi
ha voluto fosse refertata in ospedale... E allora? Semplicemente, dopo tre anni
dal ritrovamento la ricostruzione su cui si basa il processo fa acqua da tutte le
parti. Prendendo per oro colato la perizia medico legale del professor Francesco
Introna, Restivo avrebbe fatto tutto da solo. Incontrato Elisa. Convinta non si sa
come a salire sette rampe di scale. Sferrato, dopo un primo approccio sessuale di
cui non c'è alcuna prova, 13 coltellate. Trascinato il corpo lungo tutto il
sottotetto, anche qui senza traccia alcuna. Anzi con l'obiezione ovvia che avrebbe
dovuto fermarsi, scavalcare le travi alte appena 60 cm. e riprendere il
trascinamento, con grande dispendio di fatica e di tempo che non aveva.
Tagliato, una volta adagiato il corpo alla parete in fondo, i vestiti per accedere al
corpo della vittima (questo sì il suo vero rito a sfondo sessuale), tagliato le
ciocche di capelli "almeno 20 minuti dopo averla colpita". Coperto alla
perfezione il cadavere. Senza dimenticarsi, prima di andarsene, di schiodare le
assi del tetto per disperdere i miasmi della putrefazione. Il tutto in meno di
un'ora.
Credibile? No. Si badi che Introna ha formulato molte parti della
ricostruzione come ipotesi. Poi diventate "certezze". Aver concentrato
l'attenzione su Restivo ha impedito di individuare gli anelli di congiunzione con
le "coperture". Depistaggi, complicità, omissioni provenienti non da Restivo e
dalla famiglia ma in grandissima parte da dentro le istituzioni: scuola,
magistratura, Chiesa, apparati investigativi. Il vero cono d'ombra di questa
storia. Certo rimane la cosiddetta prova regina del Dna dell'imputato trovato dai
Ris, dopo la prima disastrosa perizia del professor Pascali, sul maglione di Elisa
con altre tracce biologiche non identificabili (al momento). Ma non è molto
confortante apprendere che, su richiesta dell'accusa, i Ris hanno comunicato che
tutti i reperti della maglia di Elisa sono andati consumati nell'effettuare i test.
Anche se si volesse ripeterli, non è più possibile.
Piaccia o no, le persone vanno
condannate sulla base di prove certe. Vale anche, forse soprattutto, per i
"mostri". Restivo non c'era al primo processo, né di persona né in
videoconferenza. Ho qualche dubbio sulla "volontarietà" di questa scelta. E'
bastata una nuova difesa più combattiva per far affiorare discrepanze,
contraddizioni. Restivo non è mai stato interrogato (né lo sarà) in questo
processo sulle imputazioni a suo carico. Francamente sentire l'accusa e la parte
civile affermare "è inutile interrogarlo", pur comprendendo le ragioni, ecco,
mette i brividi.
Il caso Restivo, se non bastassero Garlasco, il processo Meredith,
via Poma, dimostra alcune cose. Che il "nuovo" codice di procedura penale, un
Frankestein che si aggira nelle aule di giustizia, va riscritto. I cosiddetti riti
abbreviati sono mostruosità giuridiche. Lo strapotere dell'accusa, costretta a
lavorare in condizioni difficili e tentata dalle scorciatoie, mina spesso il
contradditorio, la prima garanzia per l'imputato ma anche per l'accertamento
della verità. I processi in Italia semplicemente non stanno più in piedi: non c'è
un caso di una qualche complessità negli ultimi vent'anni che si possa definire
chiuso.
E questo è l'articolo uscito sulla Repubblica il 27 agosto 2022
I punti criminali e giudiziari del caso che meritano una riflessione; altri mai chiariti; altri omessi...
- Danilo Restivo non è stato MAI interrogato in merito ai capi
d'imputazione per i quali in Italia è stato processato.
- Non sono state sottoposte a nuove indagini cinque macchie di
presunta sostanza ematica repertate nel vano della canonica da
cui si accede al terrazzo e da qui al sottotetto della chiesa.
Elementi tutt'altro che secondari, visto che sono stati
rinvenuti sull'unica via d'accesso e di fuga possibile da cui è
passato/sono passati l'assassino/assassini. La prima perizia
genetico-forense, molto criticata, del prof. Vincenzo Pascali,
aveva individuato una delle 5 macchie (quella presente sullo
scalino) certamente come "traccia biologica" umana. Questo
reperto è stato inserito nella richiesta del pm tra quelli da
sottoporre a nuova perizia, poi è stato escluso nell'atto di
conferimento d'incarico da parte del gip al Ris dei carabinieri.
- Danilo Restivo non può avere trascinato il corpo di Elisa,
subito dopo averla colpita, come affermato dalla perizia del
prof. Francesco Introna, dalla porta, attraverso il sottotetto,
fino al punto dove è stata ritrovata. Tale circostanza - il
trascinamento - è fortemente messa in dubbio da altri periti e
chiaramente smentita nelle registrazioni dei primi sopralluoghi
effettuati dalla polizia scientifica. Danilo Restivo avrebbe
dovuto fermarsi, scavalcare le travi alte 60 centimetri dal
pavimento e riprendere il trascinamento, perdendo così molto
tempo.
- Non c'è nessuna prova, e nemmeno la più labile traccia, che
l'aggressione sia avvenuta appena scesi nel sottotetto.
- Non c'è nessuna prova e nemmeno la più labile traccia che
l'aggressione sia scattata dopo un tentativo iniziale di
approccio sessuale.
- Con assoluta certezza Restivo, nei tempi indicati nella
ricostruzione, in poco più di 40 minuti, non può aver fatto
tutto "da solo". Soprattutto non può aver occultato il cadavere
sotto un cumulo di detriti e divelto le tavole del sottotetto per
disperdere i miasmi della putrefazione. Al momento del (presunto) ritrovamento Elisa era coperta solo da tre tegole. Quando e chi ha rimosso il materiale che ha occultato la vista del corpo per buona parte dei 17 anni?
- Non c'è nessuna prova, degna di validità scientifica, per fissare
la morte di Elisa nel giorno della scomparsa, se non come
considerazione di carattere deduttivo (Elisa non è stata più
vista dopo il 12 settembre '93);
- L'unica certezza della perizia Introna, per altro indicata come
tale dall'anatomo-patologo nel suo elaborato, è che il processo
di decomposizione è cominciato e si è concluso nel luogo dove
la vittima è stata ritrovata.
Il che, ovviamente, non esclude:
- che Elisa sia stata uccisa altrove, in un altro ambiente della
chiesa, e poi portata nel sottotetto;
- che altri abbiano partecipato non solo all'occultamento del
cadavere ma anche alla fase del delitto.
Dopo due processi celebrati, la ricostruzione dell'omicidio, per quanto
circoscritta all'evento in sé, si basa su una serie di pure ipotesi, per altro non
prive di contraddittorietà e con vistose lacune.
Il paravento del rito abbreviato
L'andamento processuale - anche
dell'appello - ha fortemente risentito della scelta del rito abbreviato (vale a dire,
un processo a porte chiuse, allo "stato degli atti", privo dell'esame di testimoni in
aula e senza pubblico) richiesto dal precedente difensore, l'avvocato Mario
Marinelli. Nel primo processo Restivo ha rinunciato ad essere presente, sia in
aula in Italia, sia perfino in video-conferenza dal carcere in Inghilterra. Una
decisione che appare quanto meno contraddittoria: Restivo ha sempre espresso
la costante determinazione a fornire la sua "verità", ha voluto essere presente per
essere interrogato, tanto al processo davanti alla Crown court di Winchester
quanto al processo di secondo grado in Italia. Solo dunque nel processo di primo grado
con rito abbreviato, l'unico spiraglio che aveva dopo la pesante condanna
ricevuta in Inghilterra, ha maturato una decisione opposta a quello che è stato
sempre il suo comportamento.
La condotta più "battagliera" della nuova difesa,
gli avvocati Dino Bargi e Marzia Scarpelli, ha messo in rilievo non poche incongruenze. La Corte ha accolto
solo la richiesta avanzata dalla difesa di "pubblico dibattimento", cioè di consentire l'accesso al pubblico,
solo per le ultime due udienze, con l'opposizione della pubblica accusa e delle parti
civili. Nonostante le evidenti discrepanze emerse nel processo, non è stata
accolta la richiesta della difesa per il "rinnovamento del dibattimento": qualora
fosse stata accettata avrebbe comportato l'esame e il controesame dell'imputato
in aula; ma anche, con buona probabilità, sarebbero stati sentiti periti e ufficiali
di polizia giudiziaria (stanti le palesi divergenze emerse nelle valutazioni della
polizia scientifica, quelle tra le varie perizie, in particolare tra la perizia del prof.
Francesco Introna e la perizia della dott.ssa Eva Sacchi). A Restivo è stato solo
consentito di leggere "spontanee dichiarazioni": ma, come si sa, è cosa ben
diversa dall'essere sottoposti in aula alle domande di accusa, difesa, parti civili,
dei giudici. La Corte d'appello ha ritenuto di avere elementi sufficienti per
confermare la condanna di primo grado nei confronti di Danilo Restivo. Ma il
rifiuto di rinnovare il dibattimento appare una scelta difficilmente
comprensibile, se non per ragioni di "economia processuale", oltre che per
rispettare l'asserito impegno di riconsegnare l'imputato alla Gran Bretagna entro
la fine di aprile e dimostrare che la giustizia italiana non teme confronti in tema
di brevità del giudizio e certezza della pena. A costo tuttavia di lasciare ampie
zone d'ombra nella ricostruzione dei fatti.
La differenza con il processo inglese
Per "metà" il processo inglese
terminato con la condanna di Restivo all'ergastolo per l'omicidio Barnett si è
basato sugli esiti delle indagini compiute dagli inquirenti italiani per l'assassinio
di Elisa Claps. Chi sostiene che si è trattato di una forzatura o di un atto
illegittimo, avanza un'argomentazione infondata. Le modifiche introdotte nel
codice di procedura penale inglese dal 2001, in funzione prevalentemente anti-
terrorismo, consentono di ammettere come prove le circostanze legate al "bad
charachter", alla "cattiva personalità", vale a dire ai precedenti specifici, per reati
identici a quelli per i quali l'imputato viene processato. La differenza tra il
processo celebrato davanti alla Crown Court di Winchester e ai due di Salerno
può riassumersi in questi elementi:
In Inghilterra il processo è stato pubblico, con le porte aperte
ai giornalisti e ai cittadini, con la presenza dell'imputato;
i periti italiani (Introna, Sacchi, Cattaneo) sono stati sentiti
come testi. La prova dunque non è stata ricavata
dall'acquisizione dei documenti ma si è formata in aula, dal
contraddittorio tra accusa e difesa, dinnanzi alla giuria
popolare che ha emesso poi il verdetto di colpevolezza;
Danilo Restivo è stato interrogato in aula. Proprio le risposte
durante l'esame della difesa (1 giorno) e dell'accusa (3 giorni)
date dall'imputato, risposte evasive, inverosimili o incomplete,
hanno fornito alla giuria il maggiore apporto per giungere al
libero convincimento di colpevolezza.
Il che rende ancora più incomprensibile perché si sia evitato di interrogarlo nei
due processi di Salerno, con la motivazione condivisa tanto dalla pubblica accusa
che dalla parte civile che "sarebbe inutile sentirlo".